Il
calderaio: un profilo professionale del
passato
Dalle testimonianze raccolte emerge che:
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il calderaio riparava
le pentole e i paioli di rame e in
alcuni casi era anche colui che li costruiva;
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esisteva una specializzazione per la riparazione di brocche
e altri recipienti di coccio, mediante filo di rame;
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se era specializzato nella stagnatura si chiamava spesso
stagnino;
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il calderaio era anche in grado
di lavorare il rame; era quasi un fabbro;
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poteva anche riparare le grondaie;
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non aveva negozio, era ambulante, poteva venire da luoghi
particolari;
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girava le campagne presentandosi gridando la sua venuta nel
paese; era un personaggio che vivacizzava la vita dei
paesi, se due donne e un magnano fanno la
fiera a dicomano;
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doveva essere povero e vestire miseramente se č rimasto
nei modi di dire il magnan non č sicuro se non ha
le toppe al culo a Marlia (LU) e sei
sporco come un magnano a Castelmuzio (SI);
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accettava come compenso del suo lavoro il pranzo (come
testiminiato a Santa Fiora, GR),
anche se il suo nome non deriva da magnŕ(re)
come spesso č proposto dai nostri informatori, ma da
< manja < manua ‘maniglia’;
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se si trattava di una persona del paese non veniva quasi
mai designato col nome del mestiere, ma col nome proprio,
e questa č una caratteristica di molti mestieri
tradizionali.
Passando dall’analisi delle descrizioni e dei commenti all’analisi delle
denominazioni
raccolte per indicare il calderaio, si osserva che i termini usati per designare il calderaio
sul territorio toscano sono una quindicina, compresi termini affini con suffisso diverso.
Il profilo professionale tratteggiato sopra riguarda un
mestiere ormai scomparso. Ma da notazioni marginali emerse nel
corso delle inchieste possiamo vedere i
tentativi del calderaio di tenersi al passo con i tempi.
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